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Vuoi che le tue foto di paesaggio abbiano un livello di dettaglio, toni e colori che facciano rimanere a bocca aperta te e chi le guarderà? Allora ti conviene usare l’esposizione a destra (ETTR: Expose To The Right) ogni volta che puoi.

Alla fine di questa lettura sarai in grado di sfruttare ogni singolo pixel del tuo sensore per ottenere una foto vibrante e ricca di dettaglio grazie alla tecnica dell’esposizione a destra. In questo articolo imparerai come aggirare i limiti tecnici della tua fotocamera obbligando il sensore a esporre i tuoi scatti in maniera straordinaria. Scoprirai come registrare in un singolo scatto una quantità di dettagli che è il doppio o addirittura il quadruplo rispetto ad una normale esposizione.

Seguimi in questo viaggio e ne uscirai un fotografo di paesaggi nuovo di zecca!

Un po di poesia prima della tempesta

La giornata promette bene. Il cielo è terso e ci sono molte nuvole sparse qua e là a dare ritmo alla monotonia del cielo azzurro. Afferri lo zaino con la fotocamera, la giacca, gli occhiali da sole e ti fiondi fuori casa. Si parte.

Sei in viaggio da pochi minuti e l’immaginazione inizia ad agire potente come un allucinogeno. La scena ti appare drammatica, mare in tempesta e scogliere sferzate dal vento mentre un sole al tramonto illumina il cielo all’orizzonte con tutte le tonalità del rosso, del giallo e dell’arancio.

Immerso in questa natura che ti svela le sue meraviglie ti avvicini alla tua fotocamera per trovare la composizione migliore. Sai benissimo che devi imprimere su un oggetto bidimensionale quello che solo la visione tridimensionale, l’udito e l’olfatto possono descrivere.

Vuoi cogliere l’attimo e vuoi farlo bene. La tua fotocamera compagna di mille avventure è li per darti tutto il suo aiuto nella ricerca del sublime. L’obiettivo grandangolare che hai montato è perfetto per queste occasioni. Ti ripeti che sarà l’attrezzatura a preoccuparsi delle faccende tecniche risolvendo tutti i problemi nel migliore dei modi. Ci hai investito tanto tempo e denaro ed è ora che faccia il suo dovere. Ti ripeti che l’unica cosa di cui preoccuparsi è entrare in simbiosi con la scena e decidere quando è giunto il momento di tuffare il dito indice sul pulsante di scatto.

Lo fai. Afferri uno, due, tre, quattro scatti. Ti muovi sulla scena per tentare qualche altra composizione poi decidi che la tua immaginazione è sazia e sei pronto per tornare a casa.

Il lato oscuro

Seduto davanti al tuo PC e felice come un bimbo che ha appena ricevuto un regalo apri gli scatti e ti accorgi che l’immagine che è rimasta intrappolata sul tuo sensore non è come l’avevi immaginata. Vorresti più dettaglio nelle zone buie cosi apri lo scatto in Camera RAW per provare a schiarirle. Appena tocchi le ombre ti accorgi della comparsa di zone di colore poco consistenti con il resto della scena. Piccoli funghi nascosti nel sottobosco delle ombre prendono vita e non sono affatto piacevoli alla vista. Hanno talvolta colori del tutto insensati: “cosa ci fa un punto rosso e uno verde in una zona di punti quasi neri?”.

Sei incappato nel rumore digitale.

Mannaggia… nell’anteprima della fotocamera le cose parevano molto meglio, la scena era vibrante e contrastata. Adesso a guardarle bene anche le zone più chiare dell’immagine sembrano piatte. Senti il bisogno di contrastarle per dare maggiore corpo alla scena.

Non ti fidare mai dell’anteprima dello scatto in fotocamera.

Attenzione… a questo punto comincia farsi strada la delusione.

La vocina che hai in testa parte con la sua psicoanalisi da consumismo della peggior specie:

“te lo avevo detto che la fotocamera non è buona”,

“allora non mi ascolti quando ti dico che l’obbiettivo non è abbastanza nitido e contrastato”.

E prosegue: “magari con un treppiedi nuovo ed un diverso set di filtri le cose andrebbero meglio”.

 

Il segreto sta nei dati

Forse ti sei riconosciuto in questa descrizione anche solo in parte. Non ti preoccupare il problema non sei tu ne tanto meno la tua attrezzatura. Molte foto che trovi nella mia galleria sono state scattate con una 400D equipaggiata con un 50mm da 80€, senza l’uso di filtri o altro.

Il fatto è che le belle foto di paesaggio che vedi su libri, mostre, riviste o in giro per la rete non vengono sfornate dalla fotocamera pronte per essere ammirate cosi come le vedi. Sono il prodotto di un processo creativo e artigianale che non può essere imbrigliato in un insieme di cavi, bit, fotodiodi e cervelli elettronici. Nel processo artigianale di cui ti parlo una parte da leone la fa l’esposizione fotografica, questa rappresenta una sorta di imprinting della fotografia e ne influenza tutta la vita fino alla stampa.

Durante l’esposizione il sensore è in grado di registrare un’imponente mole di informazioni ad altissima qualità. Queste informazioni numeriche vengono tradotte in matrici di punti colorati da un calcolatore elettronico e successivamente in emozioni in due dimensioni ad opera del fotografo (o almeno si spera).

L’era digitale ci ha fatto un grande regalo. Ci ha offerto l’opportunità di modellare dopo lo scatto le informazioni registrate per applicarvi aggiustamenti e trasformazioni allo scopo di avvicinare il risultato finale a qualcosa che assomigli maggiormente al nostro modo di sentire la scena piuttosto che al modo di registrare le informazioni della fotocamera.

Però prima di potere passare alla fase creativa ed artigianale hai bisogno di raccogliere il più alto numero di informazioni possibile per colmare l’insaziabile fame di dettaglio, contrasto, colore e qualità che contraddistingue tutti i fotografi di paesaggio fine art. Per questo motivo la fase dell’esposizione fotografica è stata, ed è tuttora, oggetto di numerose sperimentazioni da parte di molti fotografi nel mondo.

Una delle più interessanti tecniche messa a punto negli ultimi anni è la cosiddetta esposizione a destra. Ma a destra di cosa?

 

Come funzionano i sensori

Per poter capire fino in fondo questa tecnica è necessario aprire una piccola parentesi per spiegare in maniera semplice (almeno spero) come funzionano i sensori delle moderne fotocamere digitali.

Per semplicità suppongo che il nostro sensore sia in bianco e nero e che abbia una gamma dinamica (o range dinamico) di 5 f-stop. Ovvero che l’insieme delle possibili variazioni di luminosità che possono essere registrare ricoprano uno spazio di 5 f-stop.

Per riuscire a registrare la luce che entra nel nostro obbiettivo i costruttori hanno progettato i sensori come un insieme di piccolissimi secchi (fotodiodi) disposti a scacchiera e in grado di raccogliere la luce che illumina il sensore.

Durante la fase di esposizione fotografica la luce raccolta da ogni secchio viene prima misurata, poi convertita in un numero ed infine salvata sul file in cui rappresenterà un punto della scena che stiamo fotografando.

L’insieme dei numeri con cui è possibile misurare la quantità di luce raccolta da ogni fotodiodo è determinata dalla quantità di bit con cui la fotocamera memorizza i file grezzi (detti anche RAW, DNG, etc…).

Per capirci, se per assurdo il nostro sensore fosse in grado di esporre 5 F-stop ma avessimo a disposizione solamente due numeri (0 e 1) per registrare su file la quantità di luce che abbiamo raccolto potremmo solo registrare due luminosità:

  • zero = nero
  • uno = bianco

Quindi si capisce subito che più numeri abbiamo a disposizione per misurare la luce che colpisce il nostro sensore e maggiore sarà il dettaglio che otterremo nella nostra foto.

Scusa, forse non ti ho detto che per applicare questa tecnica devi salvare i tuoi scatti in formato grezzo (RAW, NEF, DNG, etc…). Solo così avrai il pieno controllo delle informazioni raccolte senza correre il rischio di perdere informazioni.

Poniamo l’attenzione su un passaggio fondamentale che spiega il perché della presunta o reale validità della tecnica ETTR (Expose To The Right) partendo da una domanda: come sono usati i numeri a disposizione per misurare i livelli di luminosità nel nostro insieme di 5 f-stop?

tono_e_livelli

Supponiamo di avere un RAW file ad 8bit ovvero un file in cui ogni pixel della nostra immagine è rappresentato da un numero che va da 0 a 255 (nel sistema binario infatti a 8 bit corrispondono 2^8=256 combinazioni). La risposta più logica alla nostra domanda potrebbe essere che le possibili combinazioni sono divise per 5 assegnando ad ogni F/Stop un quinto del totale (circa 51 livelli) ma le cose non stanno affatto così.

Al primo stop, che contiene le zone più luminose della nostra scena, sono assegnati esattamente la metà delle combinazioni a disposizioni ovvero 128. Al quarto stop la metà di quelle rimaste (ovvero 64) e cosi via seguendo lo schema riportato sopra fino ad arrivare al quinto F/Stop che contiene le ombre a cui sono assegnate una manciata di informazioni.

Volendo rappresentare questa tecnologia usando la metafora del secchio potremmo immaginarne uno come quello rappresentato nella figura sotto. Nella scala disegnata sul secchio alla parte superiore è dedicato un livello di dettaglio sempre maggiore mano a mano che raggiungiamo il colmo mentre nella zona più bassa si trova un dettaglio piuttosto grossolano.

secchio

Per capire i limiti di questa tecnologia supponiamo che io voglia usare la scala riportata sul secchio per comunicare via telefono ad un’altra persona quanto è pieno il mio secchio. Ne risulta che avrò serie difficoltà a dare una comunicazione precisa se il secchio è riempito poco più di metà. Al contrario se se il secchio è quasi colmo posso dare un misura molto precisa al mio interlocutore all’altro capo del telefono.

 

Imbrogliamo per avere di più

Per quanto detto ci si rende conto che per avere più dettaglio nelle misurazioni ho bisogno che il secchio sia molto pieno, evitando che trabocchi ovviamente (vedremo dopo cosa significa).

Riportando questo concetto alla fase di esposizione fotografica posso concludere che più luce riesco a raccogliere e migliore sarà la misurazione della luce e maggiore sarà il dettaglio contenuto nel file finale.

Scusami la banalità della metafora del secchio ma spero renda bene l’idea di quello che succede tra la fotocamera e il nostro PC. Grazie a questa tecnologia è possibile trasferire un’informazione fisica come la quantità di luce registrata dal sensore ad un software installato su un PC che si occuperà di riprodurre tale misura sotto forma di un puntino luminoso sul nostro monitor.

Possiamo quindi concludere che il sensore da il suo meglio nelle zone più luminose della scena che stiamo fotografando ed è lecito quindi provare a sfruttare questa caratteristica per ottenere qualcosa in più dalla nostra ferraglia.

Facciamo un esempio. Supponiamo che la fotocamera riesca ad esporre bene la scena che sto fotografando e che non vi siano zone particolarmente luminose ovvero che la luce nella scena sia abbastanza omogenea. L’esposimetro della nostra fotocamera calcolerà l’esposizione della scena tentando di fare ricadere la maggior parte dei toni che si trovano nella foto attorno ai toni medi. Ovvero proverà a fare in modo che l’istogramma della nostra fotografia appaia simile a quello riportato sotto.

Così facendo la maggiore potenza del nostro sensore è andata sprecata per registrare solo una piccola parte delle informazioni della scena ovvero quei pochi punti più luminosi ammesso che questi ci siano. Per gli altri punti ci siamo limitati ad usare i toni medi che vengono registrati usando solo la metà (se va bene) del dettaglio della nostra fotocamera.

Qui entra in gioco l’esposizione a destra. Ovvero esporre in modo che  il più alto numero toni registrati dal nostro sensore ricada nella parte più luminosa della scena. Per ottenere questo effetto dovremo sovraesporre di ⅓, ⅔ o addirittura 1 F/Stop.

Cosi facendo obbligo il sensore a registrare più informazioni per le aree più luminose della scena ma di conseguenza anche le aree che apparivano più buie risultano sovra esposte e prendono vita mostrando più dettaglio.

Talvolta la scena fotografata con l’uso dell’esposizione a destra può apparire un po piatta e lattiginosa una volta aperta in Camera Raw (o qualsiasi altro software tu stia usando) ma quello che ci interessa in questa fase è raccogliere il maggiore quantitativo di informazioni possibile per poterlo usare in maniera creativa in un secondo momento.

Cosa importantissima: devi evitare assolutamente di sovra esporre troppo e bruciare le alte luce perdendo dettagli della foto e vanificando così tutti gli sforzi fatti.

 

Come evitare di mandare tutto all’aria

La quantità di informazioni che la fotocamera può raccogliere durante l’esposizione viene rappresentata sotto forma di un istogramma, ovvero un grafico che rappresenta la mole di dati raccolti per ogni gradazione di luce che il nostro sensore riesce a percepire.

Sull’asse orizzontale di questo grafico si trova una scala delle luminosità e sull’asse verticale una scala delle quantità. Più sono le informazioni registrate per una determinata luminosità più pronunciata sarà la pancia della curva del grafico.

Per quanto detto prima alla estrema destra del grafico sono rappresentate le zone più luminose della scena mentre alla estrema sinistra vi sono le ombre. Tutto quello che va oltre la zona più a destra dell’istogramma è letto dalla fotocamera come un bianco puro con conseguente perdita di dettaglio. Tutto quello che cade oltre la zona più a sinistra dell’istogramma è interpretato come buio assoluto.

Per applicare la tecnica dell’esposizione a destra devo tentare di esporre la scena in modo da spostare la pancia dell’istogramma più a destra possibile. Dato che per farlo rischio di bruciare le alte luci è meglio abilitare la funzione di allarme per le alte luci della nostra fotocamera. Nel caso in cui parte della scena sia andata oltre l’istogramma perdendo dettaglio, la fotocamera mi avviserà facendo lampeggiare l’istogramma o i punti nella fotografia che sono stati bruciati.

Se parte della scena è bruciata bisogna valutare la situazione e decidere di abbassare l’esposizione di ⅓ o ⅔ di stop ed esporre nuovamente. Quando l’esposizione sarà senza bruciature e l’istogramma sarà il più a destra possibile avremo ottenuto la nostra esposizione a destra.

Un esempio pratico

Vediamo un esempio pratico di come applicare quanto detto. Ho scattato la foto che vedi sotto affidandomi all’esposimetro della mia Canon 5D Mark II.

esposizione_a_destra_esempio

La scelta dell’esposimetro con un’apertura di diaframma di F16 ed un ISO 100 è stata di 13 secondi. Ho riportato l’istogramma di questo scatto indicandolo come “Normale” ed ho evidenziato con un’asticella rossa il limite oltre il quale le zone più chiare della foto andrebbero bruciate e perderebbero dettaglio.

Come vedi dall’istogramma della foto “Normale” c’è ancora parecchio margine per uno spostamento dell’istogramma a destra senza il rischio di bruciare le alte luci e perdere informazioni preziose.

istogramma_ettr_vs_normale

A questo punto ho aumentato il tempo di esposizione fino a 30 secondi ottenendo una sovraesposizione di un intero F-stop. Come puoi vedere confrontando i due istogrammi, mediante la tecnica ETTR mi sono portato a ridosso della zona rossa senza toccarla (questo è importantissimo altrimenti rovini la foto).

Per valutare la validità della tecnica ETTR ho importato i due scatti in Camera Raw tenendo tutte le regolazione a zero. Ho poi ritoccato l’esposizione dello scatto Normale in modo da rendere le parti in ombra simili per luminosità a quelle dello scatto ETTR.

test_ettr

Ho quindi estratto e confrontato una piccola parte in ombra e molto problematica della foto, quella che corrisponde al quadrato in basso a sinistra che vedi indicato in rosso. Per avere una visione accurata clicca sull’immagine riportata sotto che riporta con un ingrandimento 100% dei due frammenti. Ci si rende conto di come l’esposizione “Normale” produca una quantità di rumore molto alta quando si prova a schiarirne le ombre mentre l’esposizione ETTR contiene in se un maggior numero di informazioni e la qualità finale ne giova enormemente.

ettr_vs_normale

Ma allora a cosa serve?

Cosa abbiamo imparato da questo esperimento?

  1. Per prima cosa che le sottoesposizioni si pagano a caro prezzo nell’era dei sensori digitali. Le parti sottoesposte della nostra foto vengono registrate con una quantitativo di dettaglio molto inferiore al resto della foto e per questo sono molto problematiche da lavorare in post-produzione.
  2. La seconda osservazione è che talvolta è possibile porre rimedio ai limiti dei nostri sensori facendo uso della esposizione a destra per “barare” e costringere il nostro sensore a registrare un maggiore quantitativo di informazioni preziosissime in post-produzione.
  3. Una terza osservazione va fatta sulle le azioni effettuare in Camera RAW. Queste si avvarranno di una mole di dati maggiore grazie alla tecnica dell’ETTR e quindi lavoreranno meglio e forniranno maggiore dettaglio e qualità finale.

Aggiungiamo un po di pepe alla ricetta e proviamo ad avere una visione più creativa dei nostri file RAW per capire quali sono le potenzialità della post-produzione. Potremmo pensare di tirare fuori dal nostro scatto almeno due esposizioni. Ovvero aprire due volte lo stesso negativo digitale (il nostro file RAW, NEF, DNG, etc…) in Camera Raw ed applicarvi un serie di aggiustamenti tali da ottenere due diverse foto: una prima foto che ben rappresenti le zone più chiare della nostra scena ed una seconda che faccia lo stesso per quelle in ombra.

A questo punto avremo in mano due scatti ricavati da una singola foto che contengono il meglio delle informazioni a nostra disposizione da potere mescolare in Photoshop usando tecniche di blending mediante l’uso di mascherature più o meno complesse che vedremo in futuri articoli.

Capisco che la tecnica può apparire artificiosa e perditempo ma sperimentare non costa nulla e investire qualche secondo in più per raffinare una esposizione spesso e volentieri regala grandi sorrisi in post-produzione.

Fammi sapere cosa ne pensi di questa tecnica e quali sono le tue valutazioni sull’uso di questa stratagemma.

Buon divertimento!